RIVOLUZIONE DEL COMPUTER

Programma Comunista . 1985
arteideologia raccolta supplementi
nomade n. 9 dicembre 2014
OÙ NOUS SOMMES EN HIVER
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Assistiamo continuamente a dibattiti tra persone che, tanto più si dichiarano non-ideologiche tanto più si dimostrano (spesso purtroppo non solo a parole) intrise fino al midollo proprio da una ideologia che li domina al punto da diventare la loro stessa coscienza; che tanto più citano dati e ricorrono all’autorità di scienziati, tanto più impestano la scienza con le più triviali, e addirittura facilmente confutabili, banalità correnti; che quanto più celebrano la “memoria” in generale tanto più seppelliscono e vogliono seppellire l’unica memoria che ci è necessaria: quella della classe sociale – e proprio ora che intere popolazioni di tutti i continenti vengono brutalmente proletarizzate. Cos’altro sarebbe infatti questa ininterrotta “emergenza” delle migrazioni che tanto sconvolge le sensibilità individuali quanto scombina programmi e assetto dei sempre meno prosperi paesi del capitalismo stramarcito?
Ecco. E’ in nome di questa memoria, e della scienza che a tale memoria consegue e appartiene, che noi proponiamo, adesso, nel 2014, un articolo apparso in Programma Comunista n.2 del marzo 1985.
Fate pure le dovute distinzioni, e vedrete voi stessi come i trenta anni che ci separano da questo articolo sono altrettanti anni di memoria e di passi mancati sul sentiero della verità (sociale) e dell’emancipazione (pratica) dell’uomo dal capitale. 
(N.d.R.) 
Quando si discute di proletariato, di lotta di classe, o per farla breve di marxismo 90 e più volte su 100 l'interlocutore ribatte prontissimo, con l'aria soddisfatta di chi è sicuro di dire cose fin troppo banali, che siamo nell'era post-industriale, nell'epoca del computer, che tende ad eliminare l'operaio: ne segue che la teoria marxista non ha più alcun fondamento (come del resto tutte le “teorie”). Tutto preso dalla «nuova realtà”, egli non immagina neppur lontanamente di dire cose stravecchie, risultato di teorizzazioni tipiche di chi si ferma nella sua analisi a ciò che appare sotto i propri occhi e non sa vedere al di la del proprio naso.
Per dimostrarlo basterebbe richiamare alla memoria le polemiche degli ultimi decenni, contrassegnate da una continua, insistente campagna sulla fine del marxismo. Il fatto però che si senta tuttora il bisogno di mostrare il suo fallimento dovrebbe se non altro rendere meno trionfalistico il sorriso dell'interlocutore di cui sopra. Infatti, pur essendo trascorsi vari anni da quando si è iniziato a parlare di società post-industriale, i conflitti sociali non sono stati per nulla eliminati e lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo non si è per nulla attutito, salvo per coloro che guardano la realtà con occhiali scopertamente “idelogici”. Perché la battaglia (non si tratta infatti di sola polemica) contro i cardini della teoria marxista è ideologica proprio nel momento in cui predica la fine delle ideologie, anche se, come tutte le ideologie, non è astratta: ha un supporto materiale.
RIVOLUZIONE DEL COMPUTER O CONSERVAZIONE DEL CAPITALE?


PARTE PRIMA

L'ideologia della «nuova tecnologia” - ecco la parola chiave, ecco la realtà che avrebbe relegate in soffitta la visione marxista del mondo contemporaneo - si fonda su mutamenti reali delle forme dei processi di produzione ma, ed è importante rilevarlo prima di entrare nello "specifico", è anche un tentativo del capitate di cambiare le carte in tavola, di quel capitale che sempre si è sforzato di darsi una faccia diversa e formalmente nuova per poter lasciare inalterate le fondamenta del suo dominio, o per rafforzarle, essendo la loro conservazione essenziale alla sua sopravvivenza, è il resto, importante fin che si vuole, accessorio.
E’ difficile sfuggire oggi al «fascino» della moderna tecnologia, della robotica, dell'informatica, della telematica, ecc., a rischio magari di passare per luddisti.
Tali “infatuazioni” collettive si sono presentate con regolarità dacchè il capitale è forza dominante; anzi negli ultimi decenni hanno assunto un ritmo sempre più ravvicinato al punto che non si ha neppure l'opportunità di ragionarci sopra e nuove gia ne sopraggiungono a seppellire in fretta e furia le precedenti, contribuendo a spingere il rincoglionimento generate a tali livelli da far apparire come "rivoluzionarie novità” cose già viste e riviste, dette e ridette, per non parlare delle «autentiche rivoluzioni economiche e sociali” a cui ogni mortale assisterebbe una settimana si e una no. Abbiamo avuto in rapida successione la rivoluzione della chimica, la rivoluzione verde, la rivoluzione del transistor, quella del Ddt, quella della pillola, quella del laser ecc. Un esempio per tutti: al tempo dei primi lanci spaziali, esperti e gazzettieri di provincia riempirono volumi di carta e quintali di cervelli per convincere il pubblico che frontiere nuove e sconfinate si stavano aprendo alle conquiste umane, e quindi al benessere individuale e collettivo, salvo accorgersi poco dopo che la fetta più grossa di tanto ben di dio se l'era presa il capitale che gestisce l'industria bellica, con tutto ciò che ne derivava e ne deriva per la fiduciosa, ma dall'esistenza sempre più incerta, capoccia dell'uomo della strada. Passò un po’ di tempo, e dall'esaltazione delle prospettive della cosiddetta “colonizzazione pacifica dello spazio" si passò ad umori assai meno allegri per l'evidente uso militare dello spazio.
Non basta. Gli «esperti» dell'economia capitalista sanno benissimo che la nuova tecnologia non sarà sufficiente a eliminare le contraddizioni di questo modo di produzione, ma sanno anche che finché durerà la «fede» nella tecnologia queste stesse contraddizioni tenderanno a rimanere nascoste e il loro effetto sarà in qualche modo attutito. Potrà sembrar strano constatare come oggi, alle soglie del 2000, e con tutti i progressi compiuti nel campo della cultura, della scienza ecc. sia così diffuso il senso della crisi, sia così numeroso l'esercito di coloro che non sanno come tirare avanti, sia sempre più palpabile la sensazione che i benefici del modo di produzione esistente non reggono al paragone  con le catastrofi che lo stesso ha già provocato e può ancora provocare, e che 1'apparato politico, amministrativo, economico, insomma tutta la società, siano impestati da elementi incapaci, arroganti e ...incolti. Quante volte non abbiamo constatato che illustri «personalità» del "mondo che conta» sollecitano la speranza in qualcosa che la realtà quotidiana contraddice il giorno successivo?
Ma è proprio qui il punto! Non è rilevante se ciò che oggi si dice è in contraddizione con quanto si è detto ieri o sarà regolarmente smentito domani. L'importante è che la gente abbia sempre un feticcio - un nuovo feticcio - a cui credere. La scienza e la tecnologia assolvono, per numerosi aspetti, questa funzione.
Del resto è anche noto che più incomprensibili alle masse sono i linguaggi, più sono inspiegabili i fatti o i sistemi di funzionamento di qualcosa, e più credibile essa diventa al gran pubblico. Il bisogno di superstizione, fatto materiale ben noto al marxismo, è la molla per lo sviluppo della moderna religione che sostiene essere la tecnologia l'elemento risolutore delle miserie della situazione attuale.
(Detto per inciso, non è che i marxisti ritengano impossibile superare certi limiti con l'aiuto delle tecnologie moderne. Con esse si possono certamente evitare numerosi ostacoli al raggiungimento di una vita degna d'essere vissuta. Il guaio è che, nella società capitalistica, l'uso di queste tecnologie trova un limite "fissato dal coefficiente teorico di massimo rendimento", come direbbe un imprenditore qualsiasi!)

L’ÈRA DEL CALCOLATORE 

Nella «epoca tecnologica», i prodotti-simbolo (televisione, automobile...) si succedono con frequenza, e quella attuale può essere definita l'èra del calcolatore. Contrariamente ai prodotti delle epoche passate, è indubitabile che il computer è destinato a lasciare tracce particolarmente profonde e va quindi visto con maggiore attenzione: lascia dietro di sè dei segni laceranti (basti pensare all'ecatombe dei posti di lavoro), e si inserisce in una situazione di crisi economica.
Non è l'informatica in sè a determinare o caratterizzare l'epoca attuale; è la dinamica economica e sociale ad esaltarne la funzione.
E’ noto infatti che l'idea del computer, ivi comprese le prime sue realizzazioni, risale a un centinaio di anni fa, solo che allora non v'era la necessità economica di renderlo tecnologicamente produttivo. Oggi, mentre tutti tendono a restringere la base produttiva per meglio competere a livello internazionale, oggi che in questa corsa alla sopravvivenza economica è favorito chi dispone di bassa intensità di lavoro, oggi che tutti sono costretti a fare i conti con la caduta tendenziale del saggio di profitto (ma non era finita tra i ferri vecchi, questa «teoria» marxista che condanna il capitale e che, in particolare, vede nel progresso tecnico un palliativo al progressivo declino del sistema, visto che suo unico scopo è quello di far risparmiare manodopera, cosa che la realtà economica, anche contemporanea, ha sempre confermato?), oggi il computer può trionfare anche se, ma lo vedremo successivamente, non potrà mai risolvere la crisi che ha colpito il sistema di produzione vigente.
Non è tanto il computer, dunque, che sta cambiando il mondo, ma è la crisi capitalistica che lo chiama in suo aiuto. Certo, e questo i marxisti devono tenerlo ben presente, i licenziati penseranno alla loro disgraziata condizione come a un risultato non del sistema capitalistico ma dell'applicazione della moderna tecnologia, così come il povero automobilista non può più prendersela con il vigile che gli contesta un eccesso di velocità perchè l'apparecchio che attesta l'infrazione è “al di sopra delle parti", non si può contestare quand'anche desse i numeri! Non rimane che credere ciecamente e star zitti, salvo poi sfogare la rabbia fra le pareti domestiche. Parafrasando una frase spesso citata a proposito di economia, diremo che il computer non è neutro, o meglio «è neutro come un fucile". Serve chi sa servirsene!
Il computer è figlio di questa societa anche per un'altra ragione. L'informatica, come strumento «totalitario», non è l'invenzione di chissà quale cervello, ma il risultato dei tempi moderni, o meglio, trova ossigeno e alimento in una società fondamentalmente totalitaria che vive e si sviluppa sulla base del principio che tutto ciò che non rientra nell'ambito di determinate strutture, di ben precisi schemi, non serve, anzi disturba. E’ la logica del computer.
La tecnologia del computer, dell'informazione, delle comunicazioni, della microelettronica, non scende dal cielo, come è ovvio, ma è frutto di una cultura e di una ben determinata realtà economica e sociale. Ecco perché va condannata subito la reazione di chi attribuisce alla tecnologia qualità e capacità alienanti e disumane, anche se è indubbio che, nella società dell'informatica, il computer tende a ridurre l'uomo a macchina, favorisce un livello culturale standard, crea ceti privilegiati e quindi nuovi emarginati; va condannata perché si ferma a guardare lo "strumento", il «fucile» senza badare a chi se ne serve creando così, alla fine, l'illusione che basti cambiare il tipo di «strumento», o le sue qualità, perche tutto cambi. 

TRIONFO DEL BRAMBILLA O DEL GRANDE CAPITALE? 

La moderna tecnologia dell'informatica è certo un'innovazione, nel senso che non si può misconoscere che è una forma del progresso capitalistico nuova.
E’ infatti evidente che i sistemi elettronici hanno un preciso ed efficace ruolo nel processo di accumulazione del capitale, anzi comportano qualcosa di più, perché la loro diffusione generalizzata permette anche un'accumulazione del sapere e del potere.
Strumento nuovo, si è detto. E a che serve? La risposta è ovvia: a estorcere plusvalore. Ma, e questo non è irrilevante, anche se può essere secondario, ha pure, un "secondo fine", quello di permettere un passaggio dal controllo del lavoro a quello della comunicazione.
Alla base di questo processo tecnologico stanno quindi due direzioni di spinta: a) innovazione dei processi produttivi, cioè del processo che porta alla creazione di merci, insomma il processo lavorativo; b) controllo complessivo del processo della produzione intesa come produttività a larga scala; non solo dunque controllo del lavoro produttivo ma anche controllo del commercio inteso non riduttivamente come scambio, ma estensivamente come gestione e controllo dello scambio considerato nella sua tonalità. "Non è che produzione, distribuzione, scambio, consumo, siano identici, ma [...] essi rappresentano tutti delle articolazioni di una totalità, delle differenze nell'ambito di una unità", per diria con Marx (Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica, ediz. La Nuova Italia, pag. 25).
E’ evidente che quanto più si allarga il processo produttivo, tanto più è importante per il capitale il controllo a larga scala. Su questa esigenza di un controllo complessivo e quindi di una «pianificazione" torneremo in un successive articolo. Qui ci limitiamo ad anticipare come si tratti di tentativi oggettivamente destinati a frantumarsi contro i limiti dello stesso modo di produzione che dovrebbero regolare (accumulazione, concorrenza, ecc.).
Queste forme non sono dunque nuovo capitalismo, ma un nuovo modo di far fronte alle sue difficoltà e quindi anche di presentarsi; un abito nuovo!
Dato per scontato che sotto l'abito poco è cambiato, va aggiunto però che anche l'abito ha la sua importanza, e che bisogna fare i conti anche con esso. Questa battaglia (i conti) va fatta, non la si può disertare con la scusa che a noi non interessa l'aspetto "formale", "ideologico" delle cose (visto cioè che l'informatica non cambia la sostanza dell'estorsione di plusvalore). Va fatta perche l'informatica tende ad accreditare presunti contenuti diversi e storicamente innovativi del capitale, o sue capacità di rinnovarsi, di rimarginare le sue ferite, di superare le sue contraddizioni. A livello di pubblicistica, questo tentativo è insistente, ossessivo e sfacciato: si mira ad una «rifondazione ideologica».
Un esempio fra i tanti: «Le piccole e medie imprese negli anni 70 hanno rappresentato anche una risposta alla crisi, si sono dimostrate in grado di affrontare anche il dopo-crisi e non si sono limitate a coprire solo settori marginali del mercato [...] La cultura della rigidità è diventata un ostacolo serio in tempo di rivoluzione tecnologica [...] Una via da seguire sembra essere quella del decentramento [...] In questa dimensione possono riacquistare un senso diverse ipotesi anche di 'democrazia economica', di partecipazione dei lavoratori, di controllo del mercato del lavoro", per cui diventa necessario "rilanciare un progetto che dia una meta collettiva alla rivoluzione tecnologica e delinei nuove frontiere del benessere e dello sviluppo» (Unita, 2 dic. 1984, in un articolo che fin dal titolo è tutto un programma... capitalista: "L'impresa alla riscossa").
Senza insistere con altre citazioni, richiamiamo uno degli slogan che accompagnano tutto questo cancan pubblicitario: "piccolo è bello".
Le nuove tecnologie permettono trasformazioni funzionali all'esaltazione dell'iniziativa individuate, al risorgere del mito del liberalismo, ecc. Senonché, oggi come ieri, piccolo è bello perché ... è piccolo!
La piccola impresa, l'impresa a carattere familiare è competitiva, è sana, ha un aspetto apparentemente più «umano» appunto perché è piccola, ma se fosse sola invece d'essere - come è - un'appendice della grande, non sarebbe in grado di far girare un bel niente.
Le nuove tecnologie permettono il fiorire di nuovi mestieri, di nuove attività economiche, e stimolano il sorgere della «fabbrica casalinga", solo perché la grande impresa preferisce delegare alla piccola tutta una serie di funzioni che per essa rappresentano un inutile fardello, un intralcio e un costo economico di cui volentieri si libera [1].
Perché il mercato giri è la grande fabbrica che deve intervenire. Le periferie hanno senso se c'è un centro, un'«anima» cui riferirsi. Nessuna piccola azienda può fare autonomamente ciò che solo la grande è in grado di condurre a termine e che è, in definitiva, la stessa condizione della sua esistenza. La dispersione non può quindi che rafforzare la concentrazione; in più, le dà nuova credibilità sotto l'aspetto ideologico («la novità degli anni 70», «le nuove frontiere» ecc. di cui sopra).
Questa ideologia però si nutre di tutta una serie di piccole realtà. Una in particolare è interessante: quella del "focolare telematico" (come è stato definito il lavoro che si può anche eseguire a casa usando il televisore come terminale), e va seguita attentamente non solo perchè può rilanciare i valori della famiglia, l'illusione che si possa lavorare senza essere e sentirsi sfruttati stando comodamente in pantofole ecc., ma soprattutto perchè comporta una riduzione delle interazioni sociali. Certo, questo è un aspetto specifico ed estremo dei processi economico-sociali legati all'informatica, ma fa parte dello stesso universo, conseguenza dello sviluppo delle tecnologie avanzate, che «atomizza» gli elementi della classe. Atomizzazione che tende anche in fabbrica ad isolare operaio da operaio, creando differenze che rendono difficile organizzare la classe a tutto vantaggio dell'ordine e del controllo capitalistico ponendo l'indubbio problema di demolire questa ulteriore divisione all'interno della classe, anche se non per ciò ignoriamo che nei nuovi processi produttivi la "socializzazione" del lavoro [2] non decade, solo che si pone su un terreno diverso dal passato, sia pur rendendone più ampie e vigorose le condizioni.
Infatti il computer come prodotto è bensì frutto della socializzazione e lo stesso «operatore» acquista significato solo in un processo complessivo, ma le condizioni soggettive del lavoro tendono a nasconderne le condizioni oggettive. Del resto, fino a che punto tale rapporto di «isole» di lavoro può estendersi? Certamente non crolla la «vecchia» fabbrica, lo sappiamo bene, ma il problema c'è, ed ha una sua rilevanza ai fini dell'organizzazione di classe appunto per questa mistificazione.
A chi blatera di «democrazia economica», di «decentramento», di «imprenditorialità diffusa», di... "Brambilla a lungo dileggiati» (sempre la succitata Unità) va risposto che in realta egli si limita nella sua analisi all'aspetto formale immediato, appariscente, del fenomeno. I cantori delle presunte novità non si accorgono, per esempio, dell'enorme ruolo che lo Stato ha avuto in questo processo.
La microelettronica e l'informatica sono essenzialmente tecnologie di guerra; e, come sempre, hanno un effetto di «ricaduta» nel settore civile, nel senso che tutte le scoperte fatte dai militari diventano in brevissimo tempo obsolete, quindi vengono «passate» ai civili. Di qui l'insostituibile presenza dello Stato. E’ lo Stato che finanzia (è inutile snocciolare cifre la cui consistenza è alla portata dell'immaginazione di tutti) la ricerca militare. Non solo, ma deve finanziare anche il successivo utilizzo civile della stessa.
E’ noto infatti che l'impegno produttivo di queste tecnologie comporta forti investimenti e... mercati di sbocco, mercati che oggi più che mai sono controllati da un numero tutto sommato ristretto di «venditori» che, per non farselo sfuggire di mano, hanno bisogno di numerosi strumenti, informazioni ecc., del computer insomma, e dello Stato. Altro che piccola impresa![3]
Assistiamo tutti i giorni ad una corsa, anzi «gara» affannosa per arrivare primi, per "battere l'avversario"; e come sarebbe possibile competere senza gli onerosi finanziamenti dello Stato a chi acquista nuove tecnologie?
Ecco infine l'ovvia necessità di ristrutturare i processi produttivi: quindi centralizzazione del capitale, con buona pace del neoliberismo e del Brambilla, il quale, però, sia ben chiaro, non è una figura inutile. L'ideologia del decentramento, oltre che lavorare sul piano economico, incide su quello politico in quanto tende o porta a migliorare il sistema di controllo del «centro» sulla «periferia». Fa insomma parte del tentativo di «pianificazione» di cui tratteremo in un prossimo numero.
Nessun idiotismo autonomista, dunque, anche se non possiamo non concludere con un sorriso: il crescente intervento dello Stato è all'origine della rinascita dell'ideologia liberista. E’ proprio vero: non c'e più religione!

PARTE SECONDA

SCENARI TECNOLOGICI

Per «informatica» si intendono processi complessi che non si riferiscono soltanto alle «condizioni di lavoro» in senso stretto. Ecco perché, di fronte al fenomeno, assistiamo a prese di posizione fra le più variegate, da quelle politiche a quelle sociologiche, e, perche no?, a tutta una serie di «speranze», se non altro perché c'è sempre qualcuno a cui far credere che le moderne tecnologie non debbano per forza essere «ad alto costo energetico" e quindi ci si possa cullare nell'illusione di una tecnologia «dolce», compatibile con le leggi del mercato.
A conferma, val la pena di addentrarsi nelle teorizzazioni che gli «esperti» vendono ai rispettivi padroni; e ci riferiamo in particolare agli «scenari tecnologici», che in questi ultimi anni sono stati in vario modo regolarmente propagandati e che hanno in comune il fondamentale obiettivo di scoprire un sistema per evitare che le contraddizioni sociali mandino all'aria la «carretta» dall'alto della quale lor signori pontificano, inquinano, sfruttano, ecc.
Visto che la sacra persona (sacra solo se borghese, ovviamente!) non ce la fa - pensano costoro -, perché non rivolgersi al computer, al super-cervellone al quale, com'è noto, nulla sfugge; al quale anzi, si aggiunge, tutto è possibile?
Per noi marxisti, il capitale si trova da sempre di fronte ad una fondamentale contraddizione: non sempre le esigenze della produzione di merci vanno d'accordo con quelle del mercato. Alla stessa conclusione, pero, arriva anche il capitalista intelligente (sebbene, com'è ovvio, non lo gridi ai quattro venti e, soprattutto, non tiri le nostre stesse conclusioni). E’ logico quindi che egli straveda per le nuove tecnologie, che gli permettono di pensare ad un "controller” delle contraddizioni produzione-mercato nella speranza di giungere a un compromesso regolatorio di forze che continuamente gli sfuggono di mano. Eccolo allora rivolgersi al moderno demiurgo!
Queste sue illusioni partono dalla premessa che le mansioni di controllo sul e del calcolatore fanno sempre più riferimento ad un processo produttivo in cui il lavoro diventa sempre più «astratto» nel senso che, mentre prima ogni tecnica abbisognava di una mansione specializzata, ora, attraverso l'informatica, la cosa tende ad essere posta in altri termini: le mansioni sono/rimangono di comando e controllo su una macchina, e questa svolge i lavori particolari. D'altronde queste stesse mansioni finiscono per rendere il lavoro sempre più interdipendente, e richiamano, all'interno dello stesso lavoro, anche più conoscenze sociali. C'è quindi, come conseguenza, un processo produttivo sempre più socializzato. Noi marxisti riconosciamo questo carattere sociale, cogliendone però le contraddizioni, mentre il capitale (ecco perché ad un certo punto le sue sono illusioni) è costretto a subire le contraddizioni da esso stesso create, anche se è indubbio che cerca di superarle a proprio fine. Non è strano quindi che si aspetti mirabilia dal calcolatore e cerchi di programmare la società nel suo complesso. Solo che non è in grado di sfruttare razionalmente tutte le risorse che una società più «sociale» mette a sua disposizione.
E’ questa una certezza che ci deriva da tutta la teoria marxista; ma, anche se così non fosse, ci basterebbe pensare alla fine che fanno regolarmente tutti i progetti i quali pretendono di pianificare il futuro della società e che, in genere, non vanno al di la ... della seconda ristampa editoriale!
Per non trasformare il tutto in un interminabile «saggio», veniamo all'esempio "concreto", limitandoci ad esaminare due di questi progetti, e, a questo scopo, sempre per non tirarla per le lunghe, utilizziamo un numero di SE (luglio/agosto '84), su cui è apparso uno studio di P.M. Manacorda, intitolato 1984, utopie e distopie tecnologiche.
Eccone un brano:
«Il progetto Jacudi nacque nel '72 come indicazione di una strategia economica globale per il Giappone. Si riconosceva in esso la impossibilità di un'economia industriale di proseguire attraverso la crescita illimitata della produzione di beni materiali, si esploravano le diverse alternative (produzione illimitata di beni di uso sociale, produzione illimitata di beni a carattere ludico) per concludere che l'unica possibilità era quella della produzione illimitata di beni a carattere informativo e culturale. […] «Per sostenere questa 'societa dell'informazione' era necessario innanzitutto 'creare una mentalità computerocentrica' [...] A ciò andava subordinata l'organizzazione del sistema educative [...] l'assistenza sanitaria [...], un modello standard di assistenza sanitaria a distanza». Insomma: «un progetto di razionalizzazione globale [...] di procedure standard nell'insegnamento, nell’assistenza sanitaria, nella circolazione stradale».
Sempre secondo il progetto, tutto doveva girare attorno al «Think tank center» ospitato in un gigantesco grattacielo al centro di Tokio...

(continua - Parte Seconda)

Quest'edificio doveva essere sede di «tutti i think tanks del paese, sia di origine statale che di origine privata» ed essere dotato di «tutti i mezzi da utilizzare in comune per realizzare in termini operativi nuovi strumenti di lavoro (modelli di programmazione di vario tipo, programmi speciali, impianti sperimentali, aggiornamento biblioteche)». In questopalazzone, insomma, si sarebbe dovuta modellare la società nel suo complesso: dalla politica alla diagnosi medica, dalla cultura alle scelte dei consumatori, e così via.
Troppo schematico, si concluse alla fine degli anni '70, e allora ecco farsi sotto due altri «esperti»: Nora e Mine, che sottopongono al Presidente della Repubblica francese un rapporto divenuto ben presto famoso (fu anche un best-seller: Convivere con il calcolatore, ed. Bompiani, 79):
«I suoi caratteri non sono più la trasparenza e la razionalità, bensì la flessibilita, la capacità di regolazione mobile e dinamica»". Il nuovo progetto si contrappone sia al marxismo, "progetto senza regolazione" perché «calato dall'alto» e troppo rigido, essendo tutto imperniato su una concezione della "produzione regolata dalla lotta di classe", sia al liberalismo tradizionale in quanto "regolazione senza progetto", in nome di un piano che non è definito una volta per tutte ma «si riassetta di continuo in base alle informazioni circolanti». Nora e Mine aggiungono: «Socializzare l'informazione significa dunque mettere in funzione i meccanismi che permettono di gestire e di armonizzare i vincoli e le libertà, il progetto "regale" e le aspirazioni dei gruppi autonomi. Significa favorire la formalizzazione dei dati in base ai quali la strategia centrale e i desideri della periferia possono trovare un accordo: quell'accordo grazie al quale società e Stato non solo si tollerano ma contribuiscono alla reciproca realizzazione»".
Com'è facile intuire da questa citazione, viene riproposta ancora una volta la ricetta del riformismo classico, secondo cui le masse, il popolo, «un'infinità di gruppi mobili» pongono i loro bisogni e tutti insieme li conciliano (anche se a conciliarli è il computer) sulla base di criteri di razionalità, bene comune, ecc.
Rapporti di forza?, lotta di classe?, dominio politico, economico, ideologico? Tutta roba vecchia! Basterà sfiorare un tasto ... Del resto: «La società dell'informazione» - scrive sempre Nora - «ponendosi al di là del mondo della produzione» non può certo essere ricondotta al rozzo schema della lotta di classe.
Al di là della facile ironia (facile per noi, ma non dimentichiamo che per moltitudini tutto ciò è vangelo), questi progetti, che mettono il calcolatore al centro di tutta l'organizzazione sociale, sono chimeriche astrazioni non perché si basino su una determinata realtà sociale (i “gruppi mobili" indubbiamente esistono; di qui il problema di una stratificazione sociale oggi più complessa che in passato) ma perché prospettano soluzioni che, come abbiamo visto, presuppongono la possibilità che esista una società mercantile e capitalistica (o post-capitalista, come amano precisare) senza contraddizioni di classe; perche presuppongono che l'informazione cada dal cielo e non sia essa stessa risultato di un processo di produzione con tutto ciò che questo implica, ignorando quindi che l'informazione in quanto tale non innesca nessun processo sociale. Ecco perché non durano più dello spazio di un mattino.
E’ vero che un simile tipo di società produce "beni di uso sociale", "beni a carattere ludico", eec., e noi, come marxisti, vediamo in ciò una sorta di "prefigurazione” della «libertà» comunista. Solo che lo sviluppo di questi «beni» ha oggi un limite nel profitto, per cui si determina l'impossibilità di produrli "per tutti». La produzione di «informazione» (intesa sempre in senso lato) è certamente una "novità" e, se si vuole, un «bene», ma questo «bene» non è una entità astratta in grado di sottrarsi alla logica del mercato. La sua determinazione, considerato il limite di cui sopra (profitto), finisce quindi per favorire una società della ... "disinformazione" (ma su ciò, i particolari piu avanti).
Operazione di tipici masturbatori intellettuali, dunque? Non propriamente, perché la moderna tecnologia tenta soprattutto di organizzare meglio la produzione materiale nel senso che il calcolatore può rendere più razionale tutta una serie di processi, quello dell'informazione in particolare. Con il calcolatore si può pensare di controllare e quindi anche regolamentare molti aspetti del processo produttivo. Il guaio è che non basta “pensare" una determinata realtà perché questa si realizzi. («Guaio», ovviamente, per i borghesi; gioia per chi, come noi, sa bene che la geniale pensata di qualche «esperto» non è sufficiente per determinare le sorti future dell'umanità)

*      *      *

Sistemati gli "scenari tecnologici» torniamo a riprendere il filo.
Appurato, soprattutto nella prima parte, quanto poca rivoluzione stia dietro alla robotica e alle nuove tecnologie, confutando sia l'interpretazione di «destra» (neoliberalismo), sia quelle di "sinistra" (occasione storica per una «democratica» trasformazione della società), non ci pesa affermare che per definire questo tipo di società (società dell'informatica) potremmo anche servirci di nomi e concetti nuovi; rimane però incontestabile che l'operaio, indipendentemente dal fatto di star seduto davanti a un tornio o a un video-terminale, rimane operaio, nel senso che intatta è la sua "disponibilità" a “vendersi" per la gloria e l'interesse del capitale.
Numerosi possono essere gli esempi a conferma di quanto poca «rivoluzione» ci sia in questi processi produttivi e quanto forte invece sia grazie ad essi, anzi quanto venga rafforzato, il meccanismo di valorizzazione del capitale. Aspetti e problematiche varie e tutte interessanti, ma che limiti di spazio ci impediscono di affrontarle una per una.[4]
Soffermiamoci su quello che per noi è l'essenziale.

COMPUTER E OCCUPAZIONE

Tutti sanno che l'introduzione delle nuove tecnologie comporta milioni di posti di lavoro in meno. I dati non lasciano dubbi: inutile stare a perdersi in statistiche interminabili; basti ricordare che in Italia i disoccupati sono quasi tre milioni (oggi, 2014, sono quadruplicati!), anche se è vero che non tutti sono a spasso a causa del computer. E’ altrettanto noto però, anche se lo si dice a voce un po' più bassa, che a fronte di un così evidente calo nell'occupazione corrisponde un altrettanto macroscopico aumento della produttività oraria, e qui il computer ha una sua funzione.
Un esempio per tutti dalla nazione a maggior tasso di industrializzazione del continente: Germania 1970/79 (Fonte: DIW, 1981) 

 
Produzione
Occupazione
Industrie minerarie e manifatturiere
+ 21,4%
- 14,4%
Macchine per ufficio ed elaborazione dati
+ 74,5%
- 16 %
Materie plastiche
+ 98,6%
+ 26,6%

La produttività oraria è stata rispettivamente del +56,8% (industrie e man.), +117,9% (macchi. per uff.) e +71,2% per materie plastiche!
Dall'80 in poi, ovviamente, la tendenza si è accentuata, visto l'ulteriore sviluppo delle tecnologie.
Altrettanto noto è che la disoccupazione colpisce soprattutto i giovani (70% dei disoccupati) gli handicappati, gli anziani. Le donne [5] 2: si crea dunque un'area sempre più vasta di ceti deboli ed emarginati.
Realtà che non ha bisogno di commenti. Non si può tuttavia fare a meno di additare al disprezzo della classe operaia, ancora una volta, la posizione assunta in merito dal bonzume sindacale. Diamo la parola al più rappresentativo:
«Le nuove tecnologie comportano risparmio di lavoro materiale» (elegante eufemismo per disoccupazione) ma non è il caso di drammatizzare, visto che, «lasciano disponibili immense risorse umane per estendere e moltiplicare i processi di conoscenza, per elevare il livello di cultura generate, per inventare nuove attività. Le nuove tecnologie, d'altra parte, si alimentano soltanto di questa conoscenza diffusa, hanno bisogno per diffondersi non solo di tecnici e di specialisti laddove nuovi metodi di produzione vengono installati, ma di un retroterra culturale, scientifico, di una formazione umana che non si realizza una volta per sempre [...] Le nuove tecnologie consentono anche nei cosiddetti studi umanistici, storici, dei salti di qualità nella conoscenza che mai si raggiunsero nel passato [...] Sono conseguenze queste, come l'enorme crescita anche quantitativa che si registra in questo periodo della storia umana in tanti campi, del risparmio dell'impiego di uomini nelle attività produttive [...] «Una forza progressista come il sindacato non può, dunque, accontentarsi di rivendicare una partecipazione nella introduzione delle nuove tecnologie, ma deve intervenire anche a livello sociale per trasformare la scuola, la politica delle informazioni, la formazione dei lavoratori e dei cittadini giovani e meno giovani, per arricchire insomma di nuove conoscenze la cultura umana-». (Lama: Il robot in fabbrica è contro il sindacato? in GENIUS n° 2 nov. '84; sottolineature nostre).
Citazione un po' lunga, ma ne valeva la pena! Sono qui condensati infatti i tipici luoghi comuni della «societa della disinformazione» e la malafede e la cosciente presa per i fondelli che caratterizza questi loschi figuri. Costoro sanno benissimo che cosa dicono e fanno; nessuna attenuante può essere loro concessa. Per dimostrarlo ci limitiamo a rispondere con le stesse parole che il sindacato usa quando si rivolge non alle «masse» ma ad un pubblico più ristretto, e quindi non rischia parlando con maggior rispetto della verità. Citiamo dal quaderno n°2 della rivista sindacale AZIMUT: Computer e Lavoro, nuove tecnologie e intervento sindacale. (E’ vero che la rivista non è una voce «ufficiale» delle Confederazioni, anzi si ripromette di «cambiare» il sindacato mettendo al centro i Consigli ecc., ma ciò cambia poco, nel senso che i concetti ivi espressi sono opinione diffusa ad un certo livello sindacale, anche se, ripetiamo, viene lasciato alla «sinistra" il compito di dire ciò che la «destra» non ha bisogno di far sapere).
«Nuove attività. A questa distruzione di posti di lavoro non corrisponderà un'altrettanta crescita nei nuovi settori. Questo per l'elevatissimo tasso di crescita della produttività che è collegato all'introduzione di queste nuove tecnologie" (W. Montagnoli: Gli effetti sull'occupazione, pag. 14).
- «Elevati livelli di cultura [...] processi di conoscenza. Un discorso molto simile può essere fatto a proposito della conoscenza e della cultura. Qui forse i luoghi comuni sull'informatica sono meno polarizzati, tanto è diffusa la convinzione che la creazione di grandi banche dati significhi di per sé maggior cultura diffusa, e quindi maggior democrazia culturale e politica. Di nuovo una scarsa analisi dei meccanismi che presiedono a questo tipo di processo oscura l'orizzonte.
- «Certo una società nella quale "esiste" una maggiore quantità di informazione è una società più "ricca" di informazione di una nella quale ciò non avviene. Allo stesso modo una società nella quale "esiste" più denaro è una società più ricca di denaro di una nella quale ciò non avviene. Ma, come osserva giustamente Lyotard, anche per il sapere, come per il denaro, la gente si distingue in quella che lo usa per sopravvivere e in quella che lo usa per farci altro denaro.
- « Una cosa molto simile avviene già oggi per l'informazione. C'è chi la usa per sopravvivere (cioè soltanto per informarsi ai fini della vita quotidiana) e chi la utilizza per produrre altra informazione, cioè per accrescere la propria conoscenza, cultura, ricchezza di occasioni, contatti, creatività. Chiedersi se l'esistenza delle banche dati potrà incidere su questa disuguaglianza è come chiedersi se l’esistenza delle banche ha inciso nel senso di una riduzione delle disuguaglianze economiche. E se il fatto che chiunque possa andare in banca significa che tutti hanno lo stesso accesso alla ricchezza monetaria» (Paola Manacorda: Capire robogate, pag. 7).
Il richiamo di Lama ai "processi di conoscenza", al bisogno di “tecnici” e "specialisti" ci suggerisce inoltre una breve riflessione sulla, ormai buona per tutte le salse, «professionalità». Anche a questo proposito, da una parte, cioè per il volgo, si strombazza che, se in futuro si vorrà lavorare, bisogna adeguarsi; quindi rivendicazione sindacale della professionalità; dall'altra, e citiamo dallo stesso quaderno, si riconosce che si tratta di una delle tante prese in giro (v. art. di W. Fossati, CISL Milano, pag. 33, che sottolinea come il "lavorare sui sistemi informatici automatizzati" significhi «essere spogliati, sostanzialmente, di professionalità»).
Ci piace, al proposito, quanto ha scritto di recente l'87enne psicanalista C. Musatti. Certo, può non fare testo per gli «esperti», qualcuno potrà storcere il naso, ma bisogna riconoscere che questo “vecchietto", che pure non è mai stato un marxista rivoluzionario, ci risulta simpatico anche perché mostra di avere una qualità in confronto ai più giovani e moderni «sapientoni»: quella di esprimersi usando la propria testa testimoniando così di una «professionalità» ormai rara.
Racconta, il seguace di Freud, di quando fu chiamato da quella vecchia volpe riformista di Adriano Olivetti a dirigere ad Ivrea l'Istituto di psicologia del lavoro, e aggiunge che ancor oggi ama far visita allo stabilimento ormai completamente «robotizzato».
«Non sono pericolosi per gli uomini ... questi prodotti della mente umana che sembrano svincolarsi dalla mente stessa che li ha progettati e costruiti. Pericoli ce ne sono ma di altra specie.
«A questo pensavo nei giorni scorsi, quando sono tornato ad Ivrea negli stabilimenti Olivetti, dove da quasi 50 anni vado periodicamente a vedere quello che muta e come muta. Certo le fabbriche sono cambiate. In quasi tutti gli stabilimenti del complesso sono scomparsi i rumori [...]; anche gli odori degli oli minerali in parte bruciati che impregnavano tutti gli ambienti, e il formicolio della gente che circolava per i reparti, e le azioni rispettive degli operai addetti al montaggio. Ma poi sono scomparsi gli stessi operai. Queste fabbriche sono fabbriche senza operai. Gli ampi locali appaiono deserti [...] Ogni tanto si accende da qualche parte una lampadina di un qualche colore [...] Un pericolo dunque c'è, ed è quello della rarefazione della mano d'opera [...] «Vi è un'altra situazione grave. Quante sono le persone in stabilimenti come questi che conoscono con esattezza il funzionamento dei vari mezzi impiegati? [...] i principi tecnico-scientifici su cui la produzione si fonda? O, più semplicemente, quanti sono che conoscono a fondo i principi dell'elettronica?
«Io, uomo d'altri tempi, mi azzardai una volta a porre ai dirigenti della fabbrica Olivetti questo problema dell'alienazione. "Ma tutta questa gente (anche se ora è diminuita) costruisce cose, ignorando del tutto quello che sta fabbricando. Alcune nozioni di elettronica, a questi operai, capitecnici, capireparto, gliele dovete pur dare". Ci fu un tentativo; ma risultò che una percentuale notevole di dipendenti era analfabeta (magari di un analfabetismo di ritorno, per non aver conservato... l'abitudine di leggere e scrivere).
«[Constatai anche] una cosa che già sapevo. Gli ingegneri (erano appunto gli ingegneri a tenere lezione) sono sempre pessimi insegnanti. Non sanno mettersi al posto di chi deve apprendere. E procedono per conto loro. Comunque la verità è che oggi ognuno conosce solo una piccola frazione del lavoro globale. Ognuno conosce ciò che riguarda la propria mansione specifica. Ma tutto l'insieme? Non vorrei azzardare cifre, ma sono certamente pochi. [...] Qui incombe il pericolo di una alienazione generalizzata: e sembra che, se dovessero assentarsi e scomparire una dozzina di tecnici che sanno tutto, ogni cosa si fermerebbe.» (Cesare Musatti: Io e le macchine, supplemento al n" 6 di GENIUS, marzo '85).
Siamo d'accordo: «la politica dell'informazione" non è l'ideale «per arricchire di nuove conoscenze la cultura umana», come Lama vorrebbe; ma anche all'occhio «esperto» di Cesare Musatti sfugge una ulteriore realtà, certo piu «nascosta", che però appunto per questo non dovrebbe sfuggire a uno ... psicologo. 

COMPUTER E SALUTE 

Le nuove tecnologie, si dice, permettono di lavorare in condizioni di gran lunga migliori di quelle del passato, nel senso che possono essere impiegate soprattutto là dove si richiedono mansioni ripetitive, meccaniche, nocive ...
Finalmente un lavoro «pulito», senza «odori», senza «rumori»: e i fattori nocività non possono che decrescere proporzionalmente all'introduzione  dell'informatica sul posto di lavoro. Ma è proprio cosi?
In un certo senso, può esserlo: è difficile pensare all'operatore travolto dal computer o che perde una gamba o un dito perché sbaglia tasto, anche se in questi ultimi anni sono stati resi noti dati sulla pericolosità dei robot che suggerirebbero per lo meno una maggiore prudenza in materia.[6]
In realta il problema non è esclusivo delle statistiche. Il capitale cerca da tempo di rendere meno evidenti le magagne che accompagnano il suo modo di produzione (anche a livello di sovrastruttura avviene la stessa cosa: basti pensare, tanto per fare un esempio, ai preti di sinistra, che sono ancor più detestabili di quelli apertamente reazionari perché servono a nascondere la funzione dell'ideologia religiosa). Un camice bianco, una sedia, anche se in finta pelle, davanti a un terminale, possono essere considerati da molti un obbiettivo ambito, nel senso che fanno pensare ad un lavoro tranquillo, «gratificante», o, alla vecchia maniera, «impiegatizio».
La salute sembrerebbe proprio essere l'ultima delle preoccupazioni. Se però andiamo a sfogliare la cosiddetta «stampa specializzata" scopriamo prima di tutto che negli uffici dove si ha a che fare con sistemi informativi automatizzatisi riscontrano da anni disturbi alla vista. Soprattutto gli addetti ai videoterminali accusano lacrimazione intensa, arrossamento agli occhi, stanchezza visiva, mal di testa.
E’ questa una sintomologia tra le più evidenti ed è facile immaginarne l'origine, dato che questi lavoratori sono costretti a stare accanto al visore per quasi tutta la giornata lavorativa.
Ma c'è dell'altro: dolori in tutto il corpo, malformazioni dello scheletro dovute a una «postura» che non tiene conto delle esigenze fisiche del corpo, stanchezza generale, tensione nervosa, difetti di circolazione, ulcere …
C'e poi il problema delle radiazioni, rischio che in teoria dovrebbe essere minimo in quanto i visori sono dotati di schermo. Ma chi controlla l'efficacia della schermatura nel tempo? Inchieste recenti in America — ma casi sono stati denunciati anche a Roma, alla Sip [7] - non hanno potuto negare un aumento in percentuale degli aborti e delle gravidanze concluse in modo drammatico. Si è parlato anche di casi di cataratta e di leucemia, sempre a proposito dei raggi X emessi dai terminali video.
Di un altro aspetto (e qui ci aspettavamo qualcosa dallo psicologo Musatti) si parla poco anche se nessuno si sente di negarne l'importanza: si tratta dei disturbi che per la maggior parte hanno a che fare con l'area della salute mentale, manifestandosi in profondità soprattutto a livello neurovegetativo. Sono i cosiddetti disturbi psicologici, fenomeni difficilmente quantificabili, quindi trascurati anche perché non «dimostrabili con oggettivi criteri scientifici», che, si sa, sono poi la solita foglia di fico.
E’ facile infatti obiettare (facile per gli "esperti" del padrone), che un soggetto con disturbi psicologici può essere tale per la vita che conduce in famiglia, per il baccano dei vicini, per una vita sociale non conforme alle sue esigenze o magari perché ... la squadra del cuore lo ha deluso.[8]

* * *

I problemi non sono da poco [9] e si può affermare in tutta tranquillità che produrre con le nuove tecnologie non basta per eliminare gli "inconvenienti" che le altre produzioni industriali comportano; i problemi di salute, i problemi umani, i problemi ambientafi ecc., non scompaiono affatto, anche se la propaganda che esalta le più moderne tecnologie tende a nasconderli.
Valga per tutti un ultimo esempio.
Silicon Valley, la sua epopea, la sua ricchezza, la sua fama, il suo boom celebrato su migliaia di pagine, oggi paria così:
«La mobilita del lavoro è altissima, pochi durano più di due anni nello stesso posto.» (Lo stesso Time ha segnalato:) «La valle del silicio non e più l'El Dorado che molti credono". (Lo stress pesa su tutti, tanto che) «ogni grande azienda prevede rimedi istituzionali per i propri dipendenti: la Apple fornisce 22 visite annue gratis presso lo psicologo, e paga il 50% delle eventuali psicoterapie; la National Semiconductors organizza quattro Workshops antistress al mese per i suoi executives; la Tandem, una delle maggiori produttrici di grandi sistemi di computer, regala sei settimane di vacanza a chi resiste in azienda almeno quattro anni. Ma tutto questo non basta. Nella contea di Santa Clara, che comprende buona parte della vallata, si registrano ormai più divorzi che matrimoni. E’ impossibile conciliare lavoro e famiglia: secondo la ricercatrice Judith Larsen, il 50% delle madri e il 75% dei papà passano meno di due ore al giorno con i figli" (Robi Schirer, Silicon Valley in "Alter Alter" n° 1/2, febbraio '85) [10].
I proletari ne tengano conto, se non altro perché hanno una ulteriore conferma del carattere disumano delle «rivoluzioni» fatte dai borghesi.

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[1] - «ln una situazione di crescente concorrenza interna e internazionale le multinazionali si sono orientate nel modo seguente: -Perseguimento della massima produttivita. -Centralizzazione delle attivita strategiche, in termini di capacita di orientamento (e di controllo) del mercato, relative cioè a componenti e circuiti integrati, software per la gestione operativa dei sistemi, linguaggi avanzati di programmazione, reti di trasmissione, satelliti di telecomunicazioni, banche dati. Attività che richiedono alti investimenti e su cui si sviluppa la concorrenza fra grandi imprese. -Decentramento di alcune attività ritenute non strategiche, a bassi investimenti dicapitali, su cui maggiormente si fa sentire la concorrenza delle piccole e piccolissime imprese. "Attualmente, le attività maggiormente interessate al decentramento sono: -Commercializzazione ed assistenza dei piccoli sistemi, che vengono venduti a rivenditori e concessionari i quali a loro volta li collocano sul mercato, rivendendoli agli utenti, fornendo a questi l'assistenza hardware e software e provvedendo all'addestramento del personale. In tal rnodo l'impatto della concorrenza su questa fascia di prodotti non è più sopportato direttamente dalla grande impresa, ma piuttosto da una rete di marketing indiretta, costituita da una molteplicità di piccole aziende commerciali e di servizi. -Produzione di software per applicazioni diverse dei clienti, consulenze e servizi vari. «Le grandi imprese sollecitano la crescita di questo decentramento 'amico', favorendo la fuoriuscita di dipendenti anziani e/o esperti; anche mediante incentivi di varia natura, e suggerendo la creazione di microimprese, o l'associazione in microimprese già esistenti, autonome giuridicamente ma dipendenti economicamente» (da Primo maggio, inverno '83/84, n° 19/20, sulla base di dati provenienti dal Seminario Nazionale del Coordinamento dei Cdf  del gruppo Honeywell Information System Italia, Firenze, 7-8 aprile '83).
[2] - Gli stessi economisti capitalisti, anche se evidentemente in un'ottica diversa, hanno ben presenti i problemi di «socializzazione» che le nuove tecnologie comportano: «L'operaio moderno [...] è una persona molto incline all'indipendenza, molto meno docile alla subordinazione»; inoltre, «una crescente complessità, introdotta da una produzione sempre più diversificata e sofisticata, rende necessario un flusso di informazione sempre più complesso fra dirigenti, capi reparto e operai, per rendere efficaci i rapporti di direzione e di controllo. A tale complessitià crescente di rapporti si può far fronte solo disponendo di un computer". E ancora: "La direzione aziendale vuol controllare molto attentamente quello che fa l'operaio, e questo ormai lo può fare soltanto con un computer". Il male è che, purtroppo, alcuni padroni pigliano troppo sul serio le nuove realta; ne nasce ... «sfortunatamente un grande desiderio da parte di alcuni datori di lavoro di fare addirittura a meno degli operai» (Kenneth Galbraith, Ma è davvero il computer la novità che sta cambiando il mondo? In Genius, die. '84).
[3] - Sulla questione intervento dello Stato - industria militare «trainante» ecc. si potrebbe obiettare: come mai il ruolo di primissimo piano del Giappone? In breve: -le tecnologie giapponesi sono anche tecnologie militari. Poco importa ai fini del nostro discorso che vengano applicate da altri. Anzi ciò è stato per lungo tempo un vantaggio, in quanto ha permesso allo Stato di destinare al perfezionamento e all'ammodernamento dell'apparato tecnologico maggiori risorse. -Non va poi dimenticato che se è vero che il Giappone non è ancora una grande potenza militare è altrettanto indubitabile che «la borghesia giapponese trovava, nell'aprirsi della guerra fredda, una chance insperata di rinascita, sia dal punto di vista economico che da quello politico: da un lato poteva far ripartire di gran carriera l'industria grazie alle commesse di guerra, agli 'aiuti' e alle divise in dollari (fornite dagli Usa e dal complesso apparato militare dislocate in territorio nipponico ai fini bellici); dall'altro poteva 'riabilitarsi' politicamente e strappare un certo margine di autonomia appoggiando il potere 'alleato'» (da Programma Comunista, n° 3/1980). Infatti, gli Usa premono da tempo e con successo, affinché il Giappone pensi alla sua «difesa» armandosi. Questa esigenza, questa necessità degli Usa, è pressante anche nei confronti degli altri alleati, visti i quotidiani appelli per l'aumento delle loro spese militari. La congiuntura economica attuale non permette agli americani di continuare a concedersi il lusso di farsi i difensori di tutti: tutti devono contribuire alle «spese» orrnai divenute insostenibili visto il ritmo forsennato necessario per tener dietro alla velocità con cui il settore della microelettronica si rinnova. Tra l'altro, è questo anche un modo per mettere in difficoltà le imprese "concorrenti" e il caso del Giappone è sintomatico perché qui lo Stato «ha esteso la sua influenza sopra l'industria privata quasi più che in qualsiasi altro paese dell'Occidente", avendo potuto utilizzare in investimenti produttivi quella porzione del reddito nazionale che prima del 1945 veniva spesa in armamenti» (State capitalism, armaments and the general form of current crisis, in International Socialism, n° 19, citato in Primo Maggio, n° 19/20).
[4] - Tra gli argomenti che siamo costretti a "scartare" e che pure meriterebbero almeno un commento c'è quello della “tutela della sfera privata del cittadino" o, come noi preferiamo dire, del controllo totalitario dello Stato democratico. "Secondo i dati del Ministero dell'lnterno, alla data del 31/12/81 risultavano esistere in Italia 61.717 banche elettroniche di dati che raccolgono informazioni sui cittadini. E’ bene precisare che di esse 595 raccolgono informazioni sulla salute, 453 sull'attività sindacale, 47 sull'attività politica, 29 sull'appartenenza a gruppi etnici o razziali e 15 sulla fede religiosa», scrive M. Fezzi in Informatica e rapporto di lavoro, quaderno n° 2 di AZIMUT.
[5] - La Equal Opportunity Commission, 1980, ha reso pubblici numerosi studi sull'occupazione negli anni '80, dai quali risulta che i settori più colpiti saranno quelli in cui lavorano soprattutto donne. Esempi: uno studio di Hyman prevede la perdita del 60/70% di tutti i posti di segretaria, Nora-Mine (78) prevedevano che in Francia sarebbe andato perso nei successivi 10 anni il 30% dei posti in banche e assicurazioni. La Metra International in un suo studio dell'80 parla di 60/70% di posti a rischio nel settore impiegati ecc. (segue seconda colonna)
(Per maggiori dettagli: Le donne e le nuove tecnologie. in SE n. 13 aprile'84). A tutto ciò va aggiunto che fra le donne che riescono a trovare minori ostacoli per entrare nelle nuove professioni è costante la tendenza a rimanere a livelli bassi di carriera (v. Lavoro femminile, sviluppo tecnologico e segregazione occupazionale, ed. Angeli, Mi '84).
[6] - J.P. Vautrin, ricercatore allo Insr di Nancy, afferma che «il robot è un animale selvaggio che deve essere tenuto rinchiuso con le più grandi precauzioni", alludendo al pericolo derivante da “elementi mobili con notevoli velocità e rilevante energia lungo traiettorie non previste" e citando dati che riguardano episodi recenti accaduti in Giappone (una ventina di morti) e in Svezia, dove il Ministro del Lavoro ha registrato in 30 mesi 15 incidenti «gravi» su un parco di 290 robot. L'Insr individua 5 occasioni di incidenti: a) collisioni fra l'uomo e il robot, b) proiezione o caduta di pezzi o metalli fusi, c) schiacciamento fra il braccio del robot ed ostacoli fissi, d) riprese in manuale effettuate da personale con scarsa preparazione, e) rischi tradizionali di elettrocuzione, bruciature ecc. (da L'usine nouvelle, 3 nov. '83). 
[7] - Secondo una statistica del Consiglio dei Delegati della Sip di Roma, reparto Commutazione, sulle maternità degli anni 1981, '82,'83, su 40 maternità si sono verificate: 3 nascite premature seguite dalla morte del bambino, 1 bambino morto subito dopo la nascita, 1 bambino nato con malformazioni, 1 caso di gravidanza extrauterina, 8 aborti. In sintesi, 14 maternità su 40 si sono risolte in modo drammatico» (Computer e lavoro, quaderno n° 2 di AZIMUT cit., pag, 37). Ed ecco, in SE, marzo "85, una notizia tratta da «New Scientist», 24 gennaio '85: «Un numero eccezionalmente alto di nascite anormali e di aborti è stato osservato in una comunità nel cuore di Silicon Valley. [...] Secondo numerose fonti, a queste patologie può non essere estranea l'acqua "potabile" della zona, che verosimilmente potrebbe essere contaminata da solventi e altri prodotti chimici impiegati nella fabbricazione dei semiconduttori per i computer ». (Nell'articolo si parla della nocività per chi lavora con il computer, ma non si dice nulla di quel che avviene a chi lavora alla fabbricazione del computer). La causa di tutte queste magagne («400 cittadini di Los Passos sono ricorsi ora in tribunale") sarebbe il tricloroetano (TCA). Ora, «dal punto di vista epidemiologico era già nota la tossicità del TCA sul sistema nervoso, sul fegato e sull'apparato cardiovascolare, ma non si conoscevano effetti sulla gravidanza e sul parto. Invece nel biennio 1980/81, a Los Passos sono stati osservati il doppio di aborti e il triplo di nascite anormali rispetto a una zona "controllo" situata a 6 chilometri di distanza. Complessivamente, a Los Passos, il 30% delle gravidanze si è concluso con un aborto o una nascita anormale. Senza contare che, sempre nello stesso periodo e nella stessa zona, tra i neonati sono stati individuati portatori di anomalie cardiovascolari congenite in proporzione superiore al doppio rispetto alla norma». Un quadro impressionante della psicosi diffusa nella Silicon Valley in 1985: fuga da Silicon Valley, in "Reporter", 6/7 aprile u.s.
[8] - «Lavorare sui sistemi informativi automatizzati crea disagi, disturbi, sofferenze sul piano della salute mentale. Molte possono essere le cause di tale disagio psicologico, come l'essere condizionati dai tempi della macchina, il non sapere ciò che viene compiuto prima e dopo la propria fase lavorativa, l'aver perso la vecchia identità di impiego (specie per i non più giovanissimi) [...] I problemi dell'area della salute mentale non sono rilevabili strumentalmente, cioè con l'ausilio delle tecnostrutture sanitarie ...» (pag. 33 del cit. quaderno n° 2). Non rilevabili, ma noti. Infatti, sul numero febbraio '85 di SCIENZA ESPERIENZA è riportata una notizia dal New Scientist (27 die. '84) secondo cui la filiale inglese della Hitachi ha intenzione di proporre ai suoi dipendenti un "molto onorevole" ritiro dal lavoro al raggiungimento dei 35 anni di età. I sindacati inglesi si sono dimostrati «stupiti» da questa decisione anche perché l'azienda non è stata in grado di produrre «dati» tali da giustificare questa decisione. I padroni della Hitachi sanno benissimo, anche in mancanza di «dati», che, quando per essere concorrenziali si introducono sistemi robotizzati i dipendenti «rendono» fino ad una certa età, poi diventano “inefficienti" proprio per tutte quelle ragioni che abbiamo richiamate e che sono essenzialmente ragioni di salute (vista, riflessi, problemi mentali ecc.).
[9] - Per dimostrarne la «consistenza» può essere utile citare quanto prevede la legislazione del lavoro in alcuni paesi. Nella Rep. Fed. Tedesca è obbligatorio un controllo medico preventivo per essere addetti ai videoterminali; in Canada, alle lavoratrici in gravidanza è impedita la mansione al video e, infine, gia nel '64 l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (organismo ONU) stipulava una convenzione con i paesi membri in cui si stabiliva: - massimo di 4 ore al giorno davanti ai videoterminali; - sosta di 15 minuti ogni ora e mezzo di lavoro; - controlli annuali alla vista; e via di questo passo, anche se, ma questo è un altro discorso, tutto è rimasto su un piano di pura e semplice «raccomandazione».
[10] - In una corrispondenza di Laura Fraser (REPORTER, martedì 9 febbraio '85) dal titolo I sabotatori informatici si viene a sapere di una pubblicazione di San Francisco chiamata PW («Il mondo sotto processo»r) i cui lettori "scrivono lettere con suggerimenti su atti di sabotaggio che partono dai semplice "è così facile semplicemente mettere fuori uso un segnale di Out of Order su una macchina Xerox", fino agli atti più sofisticati". Lo stesso quotidiano ritorna sull'argomento il 19 marzo con un articolo di B. Ramina Ma il computer stanca a commentodi una ricerca fatta da psicanalisti bolognesi in quattro aziende italiane «a diverso livello di innovazione tecnologica". Al di là dei risultati della ricerca che, come si può immaginare, è stata eseguita per essere letta dai soliti «esperti", è sintomatico che del problema non si possa tacere, anche se, magari, si riduce tutto a «crisi di identità».
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